Editoriale dalla redazione di Ti Lancio Trieste 5 novembre 2025 – La riflessione degli avvocati Luca Ponti e Luca De Pauli non è solo una diagnosi sul fallimento del dialogo; è un atto d’accusa contro la trasformazione del nostro sguardo sul prossimo. Le aule di tribunale, come evidenziato nel loro monito, sono il laboratorio clinico dove si manifesta il vero male del nostro tempo: la tendenza a vedere l’altro in modo malevolo.
Viviamo in un’epoca di profonda incertezza – economica, sanitaria e geopolitica. Quando il futuro è nebuloso e le sicurezze individuali vacillano, l’istinto umano è quello di alzare le difese. La conseguenza immediata è la diffidenza.
Come sottolineano Ponti e De Pauli, “La diffidenza è diventata la norma.” Non è più l’eccezione, ma il filtro attraverso cui interpretiamo ogni interazione. L’altro non è più un potenziale alleato o un interlocutore neutro, ma un “potenziale nemico”. Questa malevolenza percepita si autoalimenta: ogni gesto, ogni parola, viene decodificata non per il suo significato intrinseco, ma per il suo intento ostile nascosto.
Questo meccanismo è amplificato esponenzialmente dal digitale. Sui social network, l’anonimato e la distanza spaziale hanno abbattuto il “senso comune del limite” di cui parla l’avvocato Ponti. L’aggressività diventa la forma più rapida ed efficiente per affermare la propria posizione. Poiché la relazione è de-umanizzata, è più facile vedere l’interlocutore come un avatar usa e getta da “sconfiggere” piuttosto che come una persona con cui trovare un compromesso.
La vera sconfitta, evidenziata dai due legali, è che la ricerca del trionfo individuale – quel sentirsi legittimati a “vincere ad ogni costo” – non genera progresso, ma solo ulteriore isolamento.
Come osserva De Pauli: “A forza di voler prevalere, abbiamo dimenticato che la convivenza si regge su equilibri delicati.”
Quando il dialogo fallisce e la legge deve intervenire, si certifica una sconfitta collettiva. La legge può regolare la controversia, ma non può riparare il danno etico e relazionale che ha portato al conflitto.
Il monito finale di Ponti – “Siamo tutti sulla stessa barca” – non è un idealismo ingenuo, ma un richiamo alla sopravvivenza pragmatica. In un momento storico di tempeste globali, l’ostinazione a vedere il prossimo come un avversario non fa che danneggiare lo scafo comune.
La riflessione degli avvocati udinesi ci impone di chiederci: siamo disposti a rinunciare alla pretesa di avere sempre ragione (nel metodo e forse nel contenuto) per recuperare la forza della relazione autentica?


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