(Ti Lancio da Roma) Roma 26 agosto 2022 – Strutture sanitarie che non comunicano tra loro, regolamenti frammentati fra regioni, pazienti poco (o per nulla) informati e medici e infermieri non formati sulle potenzialità degli strumenti informatici. La tecnologia nella medicina, soprattutto nel campo della diagnosi e nel trattamento delle malattie croniche, non sa ancora sfruttare le nuove opportunità. Manca una coordinazione nazionale o comunitaria ed occorre aspettare il 2026 per il termine dei lavori delle commissioni regionali per la trasformazione digitale nella sanità. “I medici di medicina generale sono sempre meno, è il momento, dunque, di rafforzare l’empowerment dei pazienti”, afferma Paolo Fioretti, già primario di Cardiologia presso l’ospedale di Udine e consulente di strutture private. “Gli strumenti sono già disponibili: il fascicolo sanitario elettronico e la telemedicina sono realtà presenti e saranno fondamentali nella transizione digitale che, anche in campo sanitario, ha come obiettivo il benessere della popolazione”.
Non si tratta di un problema tutto italiano: in Europa – segnala Fioretti – ci sono i casi virtuosi di Danimarca ed Estonia, che sfruttano con abilità le applicazioni digitali in ogni campo pubblico. E la comunità scientifica prova a ricercare soluzioni adottabili a livello globale o, almeno, europeo. “Proprio in questi giorni è in corso il congresso dell’European Society of Cardiology (ESC) a Barcellona: tre importanti sessioni sono dedicate alla digital health nel campo delle malattie del cuore”. Sfogliando le riviste scientifiche di salute digitale, inoltre, è notevole lo spazio dedicato ai devices nella diagnostica, al ruolo dell’A.I. nella prevenzione e nel monitoraggio di temi di sanità pubblica. “Basterebbero poche e chiare regole, come rendere obbligatorio il fascicolo digitale che ricostruisce e tiene aggiornata la storia del paziente e, tramite app, serve, per esempio, a controllare patologie semplici, come l’ipertensione o i livelli di colesterolo”, aggiunge Fioretti. “Lo straordinario deve diventare ordinario: ci sono ancora medici che rifiutano di utilizzare una semplice mail”.
Oggi tutti coloro che hanno uno SPID possono accedere alla propria cartella sanitaria online, sui portali della salute regionale. Ma in quanti ne sono a conoscenza? Secondo l’esperienza del cardiologo “troppo pochi: tra i miei pazienti circa uno su dieci”. Le motivazioni sono diverse: c’è chi ne ignora l’esistenza e chi, specialmente se in età avanzata e sprovvisto di computer o collegamento alla rete, non saprebbe fruirne in autonomia. Tale criticità riguarda tuttavia anche i medici: “I più giovani e formati – dice Fioretti – sono certamente in grado di consigliare e assistere sull’uso di questi strumenti chiave, ma poi si scontrano con un’infrastruttura debole: i sistemi sanitari locali non comunicano tra loro, così come non c’è connessione fra i referti privati e gli ospedali o ambulatori pubblici”.
Occorre anche un aggiornamento dei corsi universitari. Secondo Paolo Fioretti, “le università non hanno tempo, forse nemmeno talento, per formare le nuove professioni tecniche della salute. Sono necessarie competenze digitali innovative, come la conoscenza delle applicazioni di intelligenza artificiale per estendere il campo d’azione del medico specialista”.
Non meno importante è il capitolo telemedicina. In poche parole, la medicina a distanza segue lo schema ibrido: dopo le prime visite di persona con lo specialista, seguono follow-up collegati con videochiamata e con strumenti che raccolgono ed elaborano i dati. Indispensabile, dunque, in un paese che, come il nostro, concentra la maggior parte della popolazione fuori dalle poche metropoli, in aree spesso isolate come l’alta montagna.
(MARIFRE)
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