(TILANCIO) TORINO, 7 MAR 2022 – Art Dèco, antiquariato, moda anni 80 e resina sono le coordinate stilistiche di Paola Bellinzoni, artista torinese e straordinaria artigiana del gioiello. Uno stile eclettico che si traduce in creazioni senza tempo che possono arricchire un look minimalista, nonché vestire la donna che le indossa.
Un percorso lungo, il suo, dove forte è l’influenza del papà antiquario e della mamma ricamatrice per una casa di moda di Piacenza. Negli anni arriva anche la passione per la danza, che le regalerà disciplina e spirito di dedizione: è l’inizio di una carriera promettente che però viene interrotta da un infortunio. L’incidente di percorso, in realtà, si rivelerà provvidenziale per il molto tempo libero che a un certo punto si ritrova, tempo che verrà dirottato, sempre di più, sulla creazione degli amati gioielli.
Sarà un’attività secondaria durante gli studi di architettura, così come quando inizierà il lavoro di rappresentante di un bottonificio di Piacenza. In quegli anni la città e la sua provincia erano un distretto di eccellenza Made in Italy dei bottoni, prima che il minimalismo degli anni 90 spazzasse via tutto. Tuttavia, nonostante la parabola discendente di quell’epoca, Paola Bellinzoni rimane piena di entusiasmo e riesce a collaborare con nomi importanti della moda come Etro, Dolce Gabbana e Raffaella Curiel.
Intanto nel suo carattere cominciano a fondersi le sue origini piacentine, piene di verve e calore umano, e il rigore, l’austerità e l’eleganza di Torino, sua città di elezione e base del suo quartier generale. Nasce così il tratto distintivo artistico e creativo delle sue collane e dei suoi orecchini, dove spesso campeggiano occhi, diventati un elemento iconico, e dove oggetti di riuso sono fissati in eterno dalla resina.

La incontriamo nel suo grande atelier, dentro lo splendido Palazzo della Luce, ex sede dell’Enel, nel centro della città.
Con che criterio scegli gli oggetti su cui lavorare?
Colleziono oggetti con una patina e con ingredienti di varia provenienza e uso, religioso e civile: in particolare amo molto le patine spente dei bronzi e degli argenti, prediligo tutto ciò che non luccica troppo. Amo le passamanerie di fine 800, l’Art Dèco, le fibbie degli anni 20 in ottone e in pasta di vetro, oggetti e accessori di sartoria e poi ghiere, cerchiaggi di borsette, oggetti di piccolo antiquariato come micro mosaici in pietra, ex voto.
La mia ultima passione sono le cornici. Sono un’accumulatrice e come tale sono malata di multipli (ride). Un nuovo oggetto è uno stimolo immenso, a casa lo maneggio e studio come usarlo. Il punto di partenza è sempre il piacere che mi regala, non ho un’idea precisa di cosa diventerà, ma quando mi ritrovo nel mio laboratorio le idee arrivano sempre e tutto torna utile.
Il riuso, la rigenerazione e il cambio di destinazione d’uso di oggetti antichi sono molto forti nel tuo processo creativo, è così?
Io parto da un oggetto che mi piace e che ha un valore intrinseco per me, anche se costa meno di un articolo nuovo di zecca. Non mi piace il riuso di oggetti molto scadenti tipo le cialde del caffè usate come orecchini, ad esempio. È uno stile squatter, una pratica inquinante con valore aggiunto poco o nullo, qualcosa che non ha nulla a che vedere con quello che faccio io. Inoltre in questa fase di ricerca e accumulo mi vengono in aiuto anche le mie clienti che, svuotando vecchi cassetti durante il lockdown, mi hanno portato cimeli di famiglia inutilizzati, che ora fanno parte della mia collezione personale e diventano per me dei prototipi.
Cosa ti ispira?
Mi ispirano i colori, le simmetrie e i fuori scala. Mi piace abbinare oggetti che per natura si compiono in una certa dimensione e che avvicinati ad altri possono convivere, perché possono avere delle gamme di colori che li armonizzano, delle gamme di materiali simili; oppure procedo per contrasto.

Tu lavori molto anche con le immagini di Vogue degli anni 80, su cui vai a fare un lavoro con la resina che comporta grande artigianalità e manualità. Come ci sei arrivata? Che tipo di difficoltà comporta e che soddisfazioni ti dà?
Più che soddisfazione mi provoca stress, perché rischio di aver investito ore e ore nella ricerca dell’immagine, nella vetrificazione, c’è la ghiera (la cornice, n.d.r.) che ha un suo valore, e se sbaglio la realizzazione butto tutto, anche se io conservo le creazioni non riuscite. Ho iniziato da autodidatta ed è un lavoro molto sfidante, in quanto il rischio di errore è altissimo, ma credo di essere diventata abbastanza brava. Mi dicono che l’immagine sotto resina è proprio il mio pezzo riconoscibile. L’articolo più venduto e direi portato con orgoglio sono gli orecchini. Forse viene premiata la scelta di creare oggetti senza tempo. Le mie creazioni non seguono le mode: non concepisco mai una collezione estiva colorata, anzi la mia evoluzione mi sta portando sempre di più verso il gotico. Per quanto riguarda la scelta delle immagini, adoro i numeri di Vogue usciti negli anni 80, un periodo di grande ricchezza e opulenza testimoniato dalla grammatura della carta, davvero preziosa. Non compro più Vogue da circa dieci anni, anche perché la moda è diventata molto volgare e la carta è più povera: ora lavoro molto con libri di antiquariato di mio papà e i cataloghi delle case d’asta tipo Christie’s e Sotheby’s, che hanno delle patine stupende.
Chi sono i tuoi clienti? C’è qualcosa che li accomuna?
Sono al 99% donne oppure mariti o fidanzati mandati in missione con il preciso compito di comprare i miei gioielli. Torino è una città chiusa, difficile, faticosa. Eppure, se riesci a fare breccia, per le clienti diventa quasi un orgoglio adottarti e divulgarti; nel corso di questi anni diversi mecenati mi hanno aiutato. Nel loro ambito sono pionieri e capofila, alla ricerca di cose particolari e capaci di influenzare e contaminare la loro cerchia di conoscenti.
Che legame hai con Torino e con il territorio piemontese?
Il legame con la città è molto forte. Torino è proprio la mia città: ostica ed elegante, ha contaminato anche me che però ancora conservo il brio dell’Emilia e la vivacità della Lombardia, le mie terre di origine e di formazione.
Come hai vissuto questi due anni di pandemia?
Da una parte bene, perché di solito conduco una vita molto ritirata. Dal punto di vista delle vendite forse la crisi la sento più adesso, e le prospettive non mi sembrano incoraggianti. Inoltre integrare vendite offline e online sarà un passo imprescindibile, anche se il mio canale principale rimane la vendita diretta. (TILANCIO)
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